A Roma non si può completare il percorso di riattribuzione del sesso, se non nelle cliniche private. Gli interventi chirurgici nel pubblico sono infatti fermi e la persona trans che desideri adattare il proprio corpo, attraverso una o più operazioni, alla propria identità di genere deve varcare i confini regionali, spesso anche quelli nazionali. All’ospedale San Camillo, che ospita il dipartimento di chirurgia plastica e ricostruttiva che collabora con il SAIFIP, Servizio per l’Adeguamento tra Identità Psichica e Fisica (esternalizzato), gli effetti della pandemia – che aveva bloccato questo tipo di interventi in tutta Italia – sono perduranti. I bisturi dell’equipe di medici, che nel 2014 festeggiava i mille interventi effettuati, restano chiusi nel cassetto. Le alternative ci sono, costano decine di migliaia di euro e sono rappresentate da tre cliniche private nella Capitale. Ma le difficoltà e le lungaggini nel complesso percorso di affermazione di un genere diverso da quello biologico partono da più lontano.
Numeri, costi e tempistiche
Eppure le persone che si rivolgono al servizio di accompagnamento psicologico, garantito dall’istituto privato Metafora in convenzione rinnovata ogni due anni con l’ospedale San Camillo, sono sempre di più, in particolare i minorenni. Applicando alla città le percentuali più recentemente stimate su scala mondiale, le persone che vivono o hanno vissuto in passato una condizione di incongruenza di genere nella Capitale sono tra le 15mila e le 30mila. Tra il 2018 e il 2021 gli adulti che hanno iniziato il percorso presso il SAIFIP sono aumentati del 46%, i minorenni del 315%. Le richieste sono per l’85% di residenti nel Lazio, per il resto da altre regioni, con una particolare incidenza di chi proviene da Umbria, Calabria e Sicilia. «È cambiata anche la domanda», spiega la dottoressa Maddalena Mosconi, responsabile area minori del SAIFIP, «mentre in passato le persone arrivavano con l’idea di fare la terapia ormonale sostitutiva (TOS) e poi, possibilmente, l’intervento chirurgico, adesso c’è stato uno stravolgimento, anche perché si è depatologizzata la condizione. Sono in forte aumento le persone che si definiscono non binarie e che non vogliono né chirurgia né TOS», conclude la dottoressa.
Il percorso per gli adulti
Nel dibattito su Ius culturae e Ius soli in molti criticano politiche di possibile apertura sostenendo che l’Italia sia tra i primi paesi UE per concessioni. Ma va fatto un ragionamento più ampio: La realtà è che fino a poco prima non l’avevamo concessa quasi a nessuno, come illustra con l'abituale chiarezza su Twitter Matteo Villa di Ispi.
La normativa di riferimento in materia di cambio di genere è la legge 164 del 1982. Il percorso prevede 4 step (alcuni necessari per il cambio di documenti, altri no):
- Psicoterapia: L'incogruenza di genere deve essere diagnosticata da un medico che, dopo un ciclo di incontri della durata minima di 4 mesi, redige una relazione tecnica che la persona dovrà impugnare in tribunale. Il percorso si può intraprendere sia pubblicamente che privatamente.
- Terapia ormaonale sostitutiva: Un medico endicronologo può prescrivere la terpaia ormonale sostitutiva, tipicamente estrogeni nella transizione MtF, testosterone in quella FtM. La relazione non è obbligatoria nel privato, anche se quasi tutti i medici la richiedono, è invece necessaria nel pubblico. I centri autorizzati a stabilire i piani di terapia ormonale devono essere composti da equipe multidisciplinari e specialistiche affinché i farmaci siano reperibili gratuitamente dall'utente.
- Ricorso al tribunale: Ottenuta la relazione ci si rivolge al tribunale per richiedere la rettificazione del sesso, il cambio del nome e, eventualmente l'operazione chirurgica (non più propedeutica ai due precedenti passaggi, dal 2015). Con bassi redditi è possibile richiedre il gratuito patrocinio di un avvocato.
- Interventi chirurgici: Da quando la Corte Costituzionale ha sancito la non obbligatorietà dell'intervento chirurgico ai fini degli aggiornamenti anagrafici, le richieste di interventi agli organi genitali primari, in percentuale sulle prese in carico, sono diminuite. Costanti restano le richieste di altri interventi di adattamento chirurgico, non tutti coperti dal Servizio Sanitario Nazionale.
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Chi ha auto ibride, plug-in, elettriche fa meno pieno di #benzina non paga il bollo, non paga le strisce blu…inquina di meno…e finanzia meno Putin…avanti verso indipendenza energetica
— Leonardo Becchetti (@Leonardobecchet) June 10, 2022
Al netto degli interventi, la strada verso l’adeguamento alla propria identità di genere è lunga e faticosa. La destinazione finale è l’aula di un tribunale dove un giudice, nel corso di un vero e proprio processo, autorizzerà il cambio all’anagrafe e l’accesso a eventuali operazioni chirurgiche. Per ottenere parere positivo, il richiedente deve aver compiuto un percorso di psicoterapia di 4/6 mesi, previa constatazione di una conclamata incongruenza di genere (spesso scorrettamente chiamata disforia) da parte del medico di base. Dopo le prime sedute, lo specialista concorda con l’utente l’eventuale ricorso a una terapia ormonale, poi si procede alla transizione sociale, un esperimento di immersione quotidiana in un genere diverso da quello assegnato alla nascita. Alla fine del percorso terapeutico si ottiene l’ambitissima relazione, il documento da impugnare in tribunale per ottenere il beneplacito alla riassegnazione di genere. A Roma, con il servizio pubblico, la psicoterapia costa 30 euro a seduta, grazie a un ticket concordato tra SAIFIP e azienda ospedaliera, a seguito del commissariamento della Sanità nel Lazio. Prima, fino al 2012, l’intero percorso era coperto da un ticket di 50 euro. La relazione finale costa invece 500 euro, una tariffa mediamente più alta di quella prevista da altre regioni. Per velocizzare i tempi, pagando 50/100 euro a seduta, ci si può rivolgere al privato, rischiando però di allungare le tempistiche in sede giudiziaria.
«Praticamente impossibile ormai che venga respinta la richiesta dal tribunale», spiega l’avvocato Giovanni Guercio, che dal suo ufficio di Prati ha seguito praticamente tutte le persone trans che si sono rivolte al tribunale della Capitale negli ultimi 30 anni. «Ancora molto spesso, però, quando ci si presenta con una relazione di un privato, il tribunale può chiedere un consulente tecnico d’ufficio (CTU) che approfondirà la “diagnosi”». Il costo di 400 euro è a carico del richiedente che vedrà anche allungarsi le tempistiche di ottenimento dell’autorizzazione finale. Grazie a una sentenza ottenuta dall’avvocato dal tribunale di Roma, nel 2011, e confermata da sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale del 2015, non è più obbligatoria l’operazione chirurgica per richiedere il cambiamento anagrafico del sesso. «Una vittoria che ha reso possibile l’aggiornamento dei documenti anche per chi non voleva intraprendere quel percorso. Le tempistiche in tribunale si sono accorciate dai 2 anni ai circa 6/7 mesi di adesso, l’obiettivo finale sarebbe quello di rendere superflua la mia figura, come già accade in altri paesi dove basta portare la documentazione all’anagrafe» conclude l’avvocato.
Terapia ormonale gratis?
Le sedute di supporto e indirizzamento psicologico sono poi propedeutiche all’inizio della terapia ormonale, farmaci mascolinizzanti o femminilizzanti il cui utilizzo non andrebbe mai interrotto. Come da delibera della Agenzia Italiana del Farmaco del 23 settembre 2020, tali farmaci sono a carico del Servizio Sanitario Nazionale, previa diagnosi di disforia/incongruenza di genere formulata da una equipe multidisciplinare e specialistica. Oltre a patologizzare l’incongruenza di genere, come denunciato da molte associazioni di settore, la norma abilita soltanto alcuni centri specializzati – pochi sul territorio nazionale – a redigere un piano terapeutico. A Roma l’unico centro dedicato è al Policlinico Umberto I. Anche qua l’attesa per la presa in carico è lunga (circa 3 mesi) e il servizio è preso d’assalto da utenti provenienti da regioni completamente sprovviste (come Abruzzo e Calabria). I farmaci sono poi erogabili gratuitamente solo presso le farmacie ospedaliere, altro importante ostacolo nella reperibilità immediata di medicine che sono a tutti gli effetti dei salva-vita. L’alternativa è la prescrizione da parte di un endocrinologo e l’acquisto degli ormoni in farmacia.
«Ci sono anche dei parametri quantitativi fissi per rientrare nella gratuità», spiega Milo, uomo trans romano, assurto agli onori delle cronache per aver chiesto di far decadere il proprio dead name alle aziende di delivery con cui lavorava. «In questo modo si segue la solita logica binaria senza prendere in considerazione le esigenze della singola persona che può aver bisogno di un dosaggio minore o che desidera effetti differenti rispetto a un’altra. Oltre a essere discriminatoria, la delibera di AIFA è pericolosa: io ad esempio vorrei una quantità di testosterone molto inferiore rispetto a quella necessaria per ottenere gratuitamente l’ormone». Ecco allora che ancora tanti uomini e donne transessuali “utilizzano” ancora parenti o amici stretti per ottenere prescrizioni gratuite. O ricorrono, nel 25% dei casi, secondo recenti studi, al mercato nero.
La questione si fa ancora più spinosa quando si tratta di minorenni, in fase prepuberale, e al posto di terapia ormonale si parla di farmaci bloccanti dello sviluppo, triptorelina e simili. Nonostante dal 2019 il farmaco sia erogabile a carico del SSN, su diagnosi di incongruenza di genere effettuata da un’equipe multidisciplinare di specialisti, nei fatti il piano terapeutico, necessario per l’ottenimento dei farmaci, viene redatto esclusivamente all’ospedale Careggi di Firenze. I ragazzini in età prepuberale che si rivolgono al SAIFIP, con il consenso dei genitori, vengono molto spesso dal Sud Italia. «Qua facciamo solo la valutazione e poi li mandiamo a Firenze», spiega la dottoressa Mosconi. «Sono responsabile dell’area minori dal 2005, ho provato a creare un’equipe multidisciplinare a Roma ma è stato impossibile, è un tema delicato e ci sono tanti ostacoli», conclude.
Il percorso per gli adulti
- Consenso: Previo consenso dei genitori, l'incogruenza di genere deve essere diagnosticata dopo un percorso psicologico simile a quello dei maggiorenni, ma che coinvolge anche la famiglia. In fase prepuberale si può ritenere necessario il ricorso a una terapia di farmaci bloccanti, utilit a ritardare gli effetti dello sviluppo e a lasciare maggiore libertà di scelta alla persona, una volta arrivata a maggiore età. In fase postpuberale è possibile fare ricorso a una terapia ormonale sostitutiva, così come succede con gli adulti.
- Terapia ormonale sostitutiva: Il percorso psicologico consente di ottenere la relazione da mostrare al medico enocrinologo che stabilirà, in accordo con il minorenne e i genitori, la terapia ormonale da seguire.
- Ricorso al tribunale: Anche il minorenne si rivolgerà al tribunale per ottenere l'autorizzazione al cambio anagrafico del sesso e a possibili interventi chirurgici. Nel caso i genitori si oppongano e il minorenne voglia proseguire autonomamente il percorso, dovrà rivolgersi al Tribunale dei minorenni per la nomina di un curatore speciale.
- Interventi chirurgici: Gli interventi sono autorizzati per malformazioni genitali o per accertata incongruenza di genere. Sebbene i minorenni che si rivolgono a servizi specifici in Italia siano in aumento di circa il 12% l'anno, sempre meno sono quelli che vogliono ricorrere all'intervento primario, che è comunque stato autorizzato a partire dai 14 anni (teoricamente potrebbe essere consentito anche prima).
Le file per gli interventi
Per quanto riguarda gli adulti, la richiesta di interventi, nonostante la specifica della Corte Costituzionale del 2015, è ancora alta, sebbene percentualmente in diminuzione. L’emergenza sanitaria ha allungato enormemente liste di attesa già molto fitte. In alcuni centri, come a Roma, gli interventi non sono ancora ripresi. Gran parte dell’utenza laziale, quindi, se non può rivolgersi al privato, si mette in coda a Pisa, a Firenze o a Torino. Anche in queste città le attese, secondo il portale Infotrans dell’Istituto Superiore di Sanità, oscillano tra i 12 mesi e i 2 anni. «Nel 2020/2021 avrò fatto sì e no 4/5 interventi» dice il professor Girolamo Morelli, responsabile del servizio presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana. «Ho 200 interventi in coda, siamo oberati e non so chi mi sostituirà quando andrò in pensione. Il problema è nazionale», spiega l’urologo, «sono tantissimi da Roma, dal Sud ma anche dal Nord». Il centro di Pisa, collegato a quello di Firenze, è specializzato in particolare in interventi chirurgici di transizione MtF. «Una questione fondamentale è la specializzazione e l’investimento. Si tratta di interventi sofisticati e complessi, non ha senso farne uno al mese», dice ancora Morelli. «Dovremmo concentrare le energie su due, tre poli nazionali che curino tutti gli aspetti della transizione, con pool specializzati, invece le competenze sono disperse e, in questo modo, il dispendio di risorse è enorme».
«A Pisa abbiamo in coda 200 persone per gli interventi, io sono vicino alla pensione e non so chi mi sostituirà. Il problema è nazionale, si deve investire su poli di alta specializzazione, sennò non conviene»
Girolamo Morelli, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisa
La scarsa convenienza aziendale di operazioni tanto complicate potrebbe essere una delle ragioni dello stop prolungato degli interventi al San Camillo. Nel luglio del 2021 sono stati assolti i tre medici del Policlinico Umberto I accusati di lesioni gravi volontarie durante operazioni di vaginoplastica che hanno coinvolto quattro donne transessuali, tra il 2011 e il 2012. A seguito dell’episodio, i medici del Policlinico hanno cessato di operare persone trans. «È un settore particolare, ci possono essere tante complicazioni», dice Leila Pereira, presidente e fondatrice dell’associazione di volontariato Libellula, con sede a Roma, «tanti si rivolgono a medici che operano intra-moenia, altri vanno in Spagna, in Inghilterra o in Thailandia». È quello che spera di fare Valerie, 33 anni, una transizione intrapresa a 18 anni e poi interrotta per ragioni famigliari, presa in carico a Roma a gennaio 2021. Una volta finito il percorso psicologico ha redatto all’Umberto I il piano endocrinologico e ha iniziato da poche settimane l’iter legale che la porterà alla richiesta di rettifica del nome e all’autorizzazione agli interventi chirurgici. «A fronte di una lista di attesa di oltre un anno, una scappatoia c’è», spiega. «Io vorrei fare operazioni al seno, alle corde vocali e al viso. Le prime due sono coperte dal SNN ma ci sono liste di attesa infinite. Sforati i 24 mesi di attesa si può fare richiesta alla ASL per fare l’operazione all’estero e ottenere una copertura dell’80%, io ne sarei contenta, visto anche l’alto numero di insuccessi in questo tipo di operazioni in Italia, ma mi pare assurdo finanziare altri paesi per interventi che potremmo fare qua, con un’organizzazione diversa». Un escamotage che consentirà a Valerie di sentirsi definitivamente Valerio e di essere rimborsato dalla ASL di riferimento, a completa discrezione dell’azienda (con enormi difformità tra regioni) e solo una volta anticipato l’intero importo.
E dopo?
Ma l’odissea sanitaria non finisce qua. Pur riuscendo a farsi operare in un reparto di chirurgia di un ospedale pubblico, i successivi necessari interventi di adeguamento e “riparazione” non sono coperti dal SSN. Come non sono coperti, non nel Lazio, alcuni aspetti fondamentali della salute di una persona. «Io ad esempio sono una donna trans, ho i documenti da donna, e la regione Lazio non mi permette di prenotare una visita alla prostata, un organo che ancora ho». Stesso problema per un uomo trans che voglia fare una visita ginecologica o un pap test. Una peculiarità non solo romana, dato che le regioni che consentono visite che dovrebbero rientrare nella tutela della salute di una persona, anche se trans, sono solo Toscana, Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte.
«Lavoro in una scuola elementare e non appena inizierò la terapia darò le dimissioni dal lavoro, sarebbe troppo difficile e non sono pronto a subire qualcosa che ho già subito da piccolo» F. Ragazzo trans
E se non è lo Stato né la sanità pubblica a mettere in condizione le persone trans di vivere la vita secondo la propria identità di genere, difficilmente lo farà la società. Mentre Milo aspetta ancora che Deliveroo faccia decadere dall’app il suo nome da donna, sono tante le persone costrette a rivedere scelte professionali ancora poco socialmente compatibili con cambiamenti netti del proprio aspetto fisico. È il caso di F., uomo trans appena preso in carico dal SAIFIP del San Camillo, che lavora nel sostegno di bambini con difficoltà in una scuola elementare della Capitale. «Non appena inizierò la terapia darò le dimissioni dal mio lavoro», racconta. «Ho già subito troppo a scuola quando ero piccolo, un conto sono le persone adulte, un conto i bambini. Dovrò trovare un altro impiego sennò non so come farò a pagare i costi del ticket per le sedute e i 500 euro della relazione finale».
AGGIUNTA – mappa di dove sono attive nelle scuole carriere ALIAS (attendo dati)
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